Jap-one compie 15 anni
In tre lustri di attività ha contribuito in maniera significativa all’evoluzione del gusto e ha avvicinato, dal punto di vista gastronomico, Napoli al mondo. Quando aprì, il 7 marzo del 2002, «Jap One», presidio della cucina del Sol Levante con raffinate contaminazioni global a Santa Maria a Cappella Vecchia, rappresentava una scommessa. Eppure Roberto Goretti, giovane avvocato allora trentacinquenne, era dentro di sé convinto che quello che poteva sembrare un azzardo sarebbe stato coronato dal successo. L’idea gli era venuta quasi dieci anni addietro quando, a Cabo San Lucas, entrò per la prima volta in un sushi bar. Probabilmente gli venne in mente l’insegnamento del padre Franco, manager aziendale scomparso prematuramente che invitava sempre il figlio ad assecondare qualsiasi curiosità.
All’inizio del nuovo millennio i tempi sembrarono maturi per attuare il sogno nel cassetto. La gestazione fu comunque lunga. Tramite una ragazza giapponese, Goretti contattò il sushiman Yassumi Yamasaki, formatosi alla scuola del «Nibu» di New York. Il professionista arrivò a Napoli nella primavera del 2001, due giorni di permanenza e poi l’appuntamento a settembre. In Italia in quel momento i ristoranti giapponesi si contavano sulle dita delle mani, concentrati a Milano e Roma. Perfino il reperimento delle caratteristiche bacchette rappresentava un problema. Tra un ostacolo e l’altro si arrivò al marzo dell’anno successivo. «I napoletani — ricorda ora Goretti — ci diedero subito ragione. Già la prima sera di lavoro la sala era piena». I clienti più affezionati erano i napoletani con maggiore esperienza internazionale, quelli, insomma, che il sushi e il sashimi l’avevano già provato all’estero.
Del resto, il consumo del pesce crudo era a quel tempo ancora basso, limitato per lo più, secondo la tradizione partenopea, ai frutti di mare. In pochi osavano portare alla bocca un filetto di tonno o di ricciola nature. Negli anni tanti clienti illustri: da Giorgio Albertazzi a Stefano Sollima, da Alba Parietti ai calciatori azzurri Ghoulam, Mertens, Maggio, Reina. Un’altra «rivoluzione» fu rappresentata dall’introduzione della prenotazione obbligatoria e dei turni. «Perché il ristorante — spiega il principale azionista dell’impresa — è un’azienda. E la possibilità di occupare per due volte un tavolo può aiutare anche a contenere i prezzi».
Quando andò via il primo chef fu ancora un’amica, stavolta brasiliana, a venire in aiuto di Goretti: gli consigliò il sushi man nippo-brasiliano Ignacio Ito Hidemasa, tuttora executive chef non solo di Jap One ma anche degli altri locali riconducibili a Goretti, tutti concentrati a Chiaia: Kiss Kiss Bang Bang, Kobe One, Jap to Go.
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